Vi ritrovate dopo una lunga giornata, e le tue domande di affettuoso e pressante interesse vengono liquidate con un secco: “BENE.” Come mai i bambini non hanno voglia di raccontare nulla delle loro giornate? Come tenere aperto un dialogo tra genitori e figli sano, equilibrato e costruttivo senza farci scoraggiare dalla loro reticenza? Indago.
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L’inizio (o la fine?) del dialogo genitori e figli
Ero incredula. Non riuscivo ad accettare che si potesse liquidare la giornata di mia figlia con un “tutto bene, è fuori in cortile”.
Fino a due mesi prima, al nido, mi davano anche l’ora dei suoi movimenti intestinali, e adesso che era passata alla materna non riuscivo a scucire più di così?
Ma ha mangiato? Partecipato? Giocato? Parlato? Insomma.. Come sta??? Diceva la mia voce da mamma ansiosa.
Viene fuori raramente, ma quando attacca, è davvero difficile da schiodare. Avessi potuto, avrei volentieri messo una piccola cimice sul golfino di mia figlia.
I miei tentativi successivi furono tutti vani:
“Com’è andata amore?”
“Bene.”
“Cos’hai mangiato?”
“Non me lo ricordo. Niente.”
“E cos’hai fatto?”
“Boh”
Massimo livello di frustrazione materna. Come farò quando sarà adolescente??! mi chiedevo sconsolata.
Non so cosa prenda le madri in questo periodo delicato della loro vita; sarà il bisogno di sentire ancora la loro prole vicina a sé, di avere ancora un minimo di controllo.
Sta di fatto che per compensare al tempo passato lontano, sentiamo questa necessità impellente di conoscere ogni dettaglio della loro giornata.
“Hai parlato con qualcuno? hai fatto amicizia? ti sei divertito?”
Entusiasmo spesso smorzato dalle risposte laconiche della suddetta prole.
Come mai i bambini non hanno voglia di raccontare nulla delle loro giornate? Come possiamo fare per tenere aperto un dialogo genitori – figli nonostante la loro reticenza?
Cosa succede al dialogo genitori e figli con un po’ di empatia
Presa da un’illuminazione folgorante, un giorno mi sono messa in testa di mettermi nei loro panni.
Ho dovuto ammettere che se mio marito mi accogliesse tutte le sere chiedendomi:
“Allora? Com’è andata? Hai avuto un aumento? Il capo ti ha detto qualcosa? hai parlato un po’ coi colleghi? Ma.. hai mangiato a pranzo?”
probabilmente a quest’ora farei la spola tra un buon terapeuta e un avvocato.
È che si preoccupa troppo per me o che ha bisogno di controllarmi perché non si fida? In nessuno dei due casi ne verrebbe fuori la voglia di raccontare le mie giornate con un sorriso.
Le risoluzioni decisive al dialogo
Da questo profondo momento di introspezione, ne sono uscita con due risoluzioni importanti:
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Vivi e lascia vivere – o in altre parole, accetta che i tuoi bambini abbiano una loro vita di cui tu non puoi sapere tutto e soprattutto, su cui non hai il controllo;
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Forse ci sono sistemi più efficaci per far venire voglia a mia figlia di raccontarmi qualcosina in più!
Poiché sono affetta da sindrome dell’alunna modello, ovviamente ho fatto le mie ricerchine e letture. Il sistema si è affinato nel tempo, ma devo ammettere che il risultato non è affatto male!
Perché siamo sinceri, lasciar andare un po’ del nostro bisogno di controllo è dura; ma quello che conta, alla fine, è riuscire a costruire un rapporto basato sulla fiducia reciproca.
Insomma, lasciar passare il messaggio che in caso di bisogno, mamma e papà sono la risorsa numero uno e magari avere le chiavi giuste per intervenire per tempo, prima di ritrovarsi con un mezzo estraneo per casa.
Cambiare le domande per aprire i figli al dialogo
La prima modifica che ho fatto è stata quella di chiedere:
Cos’hai fatto di bello / divertente oggi? Come ti sei sentito?”
La differenza ti sembrerà minima, ma è semanticamente sostanziale.
Quando chiediamo “Com’è andata?”, soprattutto se i bambini sono in età di voti e compiti in classe, può suonare un filo come un controllo.
Inoltre, la tentazione di rispondere con una due parole massimo è fortissima.
Dai, se ci pensi bene, se te lo chiedessi io, mi risponderesti anche tu con un “bene” che liquida la faccenda, e magari ti chiederesti pure come mai mi viene in mente di chiedertelo; un “Cosa c’è sotto?!”
Invece, impostando la domanda sul bello o il divertente, dirigiamo l’attenzione del nostro pargolo alla ricerca degli eventi positivi. Il che è sempre un ottimo allenamento, soprattutto se questa domanda diventa il rituale quotidiano del doposcuola.
Un pizzico di gratitudine per aprire al dialogo
Alla lunga, il cervello si allena ad andare alla ricerca della risposta nell’arco della giornata, concentrandosi sulle situazioni piacevoli e “registrandole” apposta per poter poi rispondere alla domanda che sa gli verrà posta. Siamo tutti programmati per voler rispondere correttamente a una domanda, in fondo.
Il nostro cervello è impostato per prestare maggiore attenzione ai problemi e alle situazioni spiacevoli (questione di sopravvivenza) quindi ha bisogno di una spinta in più per focalizzarsi su ciò che va bene.
Quando questo avviene, però, i vantaggi dimostrati sono un maggiore benessere e una sensazione globale di fiducia in sé stessi e nella vita. Niente male, per aver modificato solo due parole!
Se poi aggiungiamo anche una postilla volta a informarci sulle sue sensazioni ed emozioni, apriamo anche una finestrella sul suo mondo interiore e su eventuali difficoltà relazionali con compagni o insegnanti.
Certo, quando sono piccoli le risposte sono più semplici.
Mio figlio a 4 anni mi dice: “Sono stato triste perché mi mancavi e volevo stare con te” (forse è solo perché ha capito come prendermi e convincermi a darli la cioccolata a merenda) e questo è un ottimo modo per farlo sfogare di una sua sensazione, per dirgli che lo capiamo, e per abituarlo a fare l’esercizio di guardarsi dentro e controllare come stiamo.
Senza silenzio, genitori, non c’è dialogo possibile con i figli
Naturalmente non mi crederesti se ti dicessi che è bastato modificare questa frase per ottenere un flusso di coscienza joyciano, giusto?
Infatti non è stato così, nonostante i miglioramenti.
Tipicamente, i primi momenti dopo aver preso mio figlio a scuola li passo correndo come una pazza sulla bici per arrivare in tempo alla scuola di mia figlia, che esce 5 minuti dopo a 2 km di distanza; e purtroppo i rumori delle auto e dei camion fanno sì che arrivino alle mie orecchie solo piccoli frammenti del racconto che ovviamente poi mio figlio si rifiuta di ripetermi (forse dovrei pensare a un registratore?).
E poi con mia figlia, devo stare attenta alla gelosia del fratello se le dedico più di qualche secondo di attenzione esclusiva.
Il passo decisivo è stato quindi creare le condizioni per. Ritagliare quei primi momenti rientrati a casa per eliminare il telefono, concentrarmi esclusivamente sui miei bambini, e stare in silenzio.
Hai letto bene. Il trucco è stare con loro, guardarli, e non fiatare.
Spesso, basta questo per spingerli a raccontarmi tutto. Altre volte, devo aprirmi io.
Raccontare qualcosa della mia giornata, un confronto aperto.
“Oggi è stata una giornata molto faticosa per me ma sono stata proprio contenta perché ho incontrato…”
Allora mi chiedono, vogliono informarsi, sono così fieri che io li renda parte del mio mondo misterioso di adulta quando non sono con loro; ed è più facile, poi, che si aprano e mi raccontino la loro.
Il fatto di raccontare qualcosa di noi fa diventare la dinamica un vero dialogo e le nostre domande allora non vengono più viste come inquisitorie, come una forma di controllo, ma come un modo di far parte gli uni delle vite degli altri.
Le cose più belle di oggi – come alimentare il dialogo tra genitori e figli
Anche se forse te l’ho già raccontato, aggiungo il mio momento preferito. Quello che quando ce ne dimentichiamo, mi sembra che sia mancato un pezzettino fondamentale di giornata.
Mentre ceniamo, facciamo un giro di “Le cose belle di oggi”: a turno, ci raccontiamo i momenti che abbiamo apprezzato di più nell’arco della giornata.
A volte i bimbi danno delle risposte un po’ sciocche, tergiversano, e siamo solo noi genitori a dire qualcosa di sensato.
Però continuo a riproporlo, perché mi vedo, durante il giorno, ad annotare mentalmente un turbinio di vento, un sorriso, un’auto che si è fermata per farmi passare, per poterli raccontare.
E così facendo, ci presto attenzione, laddove prima avrei lasciato correre, non ci avrei magari nemmeno fatto caso.. perdendo così un’opportunità di dialogo non solo coi miei figli, ma anche col mio mondo interiore.
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