Ve lo sarete chiesto tutti, almeno una volta : perché i miei figli piangono quando vado via? Anche se è solo per poco tempo? Anche se si divertono e il pianto dura solo pochi secondi? La teoria dell’attaccamento può aiutarci a capire perché i nostri figli fatichino tanto a staccarsi da noi anche per pochi minuti. Forse può aiutarci anche a farci sentire meno in colpa…!
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La madre perfetta non esiste, eppure…
Non so se è il fatto di essere donna, di aver avuto un’educazione cattolica, o se è solo il mio temperamento, ma il senso di colpa è una sensazione ricorrente nella mia vita. Lo è ancora di più da quando sono mamma, perché forse mi rispecchio nei miei figli, rivivo in loro la mia infanzia. Le aspettative di quale madre vorrei essere sono (forse) troppo alte. L’inadeguatezza, o meglio la sensazione di essere inadeguata, è dietro l’angolo.
Uno dei momenti per me più difficili è accompagnare i miei figli in asilo, e voltarmi e uscire mentre piangono disperati perché vogliono stare con me. Nonostante io sappia che smetteranno trenta secondi dopo, nonostante io sappia che si divertono come dei matti e imparano tantissimo, nonostante io sappia che avere un’attività da “adulta” tutta mia è fondamentale per il mio equilibrio mentale (e quindi anche per il loro), per almeno qualche secondo soffro.
Cattiva madre. Come mai non li tieni a casa con te? E perché non fate più cose insieme? Perché li ho sgridati stamattina mentre venivamo a scuola?
L’asilo che frequentano in questo momento è fantastico, mi chiedono di andarci anche nel fine settimana, a volte non vogliono tornare a casa quando li vado a prendere.. eppure la mattina si aggrappano a me e piangono.
E l’unica maniera per lasciare le aule senza lacrime, è che ad accoglierli ci sia la loro maestra preferita, che li abbraccia e li coccola.
Ma perché i miei figli piangono quando vado via solo io, e quando è il papà va tutto liscio come l’olio?! Perché a volte non posso neanche andare a fare pipì 5 minuti, o uscire un’oretta, senza che i miei figli mi reclamino come se non mi dovessero vedere per una settimana?
Cos’è l’attaccamento – un po’ di teoria per capire perché i miei figli piangono quando vado via
La risposta (almeno parziale) a questo talvolta fastidioso fenomeno l’ho trovata nella teoria dell’attaccamento, che trovo particolarmente affascinante.
Questa teoria è stata sviluppata da John Bowlby negli anni ’60-’70, e poi successivamente rielaborata dalla sua collaboratrice Mary Ainsworth.
Secondo questa teoria evoluzionista, fin dai primissimi giorni di vita il neonato sviluppa, o è biologicamente spinto a sviluppare, un legame con la mamma (o con la figura che si occupa di lui) per ottenere sicurezza e protezione.
In base al tipo di risposta che la madre o la figura di riferimento fornisce alle richieste espresse dal neonato, questi formerà un tipo di legame, o meglio una forma di attaccamento, differente, che costituirà la base per le future relazioni che il bambino, e poi l’adulto, riprodurrà nel corso della sua vita.
Inoltre, questo costituirà anche la base per il tipo di riproduzioni mentali che il bambino si creerà di se stesso, degli altri, e di come si sente visto dagli altri.
La forma di attaccamento serve a regolare stress e emozioni, e a proteggere il bambino da un livello di stress eccessivo. In un certo senso, costituisce una prima forma di apprendimento su di sé e sulle sue emozioni.
Come siamo arrivati a questa teoria
Faccio un passo indietro. Prima che questa teoria venisse presentata e successivamente considerata valida, andava per la maggiore la teoria della dipendenza elaborata da Freud, secondo cui i neonati formano un attaccamento alla loro madre o figura primaria perché è lei che soddisfa i loro bisogni primari.
John Bowlby ha passato i primi anni della sua carriera lavorando in orfanotrofi, che spesso erano gestiti in applicazione a questa teoria : il personale si occupava principalmente di soddisfare i bisogni primari dei bambini. Eppure, gli orfani finivano per crescere “problematici”, con ritardi nell’apprendimento, ad esempio.
Ci volle tempo perché si riuscisse a fare ricerca in questo senso, e a capire quali fossero le cause che portavano i bambini cresciuti negli orfanotrofi a crescere adulti “difficili”, con più problemi rispetto ai bambini cresciuti in famiglie adottive. Gli studi effettuati da Bowlby si rivelarono “rivoluzionari” in questo senso.
Evoluzionisticamente parlando, mi pare piuttosto logico : la mamma (o chi ne fa le veci) è fonte di sicurezza, e permette al bambino di crescere sano fino all’età adulta, quindi anche man mano che cresce, il bambino rimane vicino alla sua figura di attaccamento, perché questa lo protegge da ogni pericolo.
Non stupisce quindi che i bambini già alla nascita abbiano imparato a distinguere il suono della voce della mamma, e siano equipaggiati con un olfatto e una vista che permettono loro di riconoscerne il viso e l’odore (e di preferirlo rispetto all’odore di altre persone).
Riscontri quotidiani
Avete poi presente quando i bambini iniziano a gattonare, o a muovere i primi passi, e mentre vanno in esplorazione, si girano a guardare se siete ancora là, e cercano la vostra approvazione con sorriso cospiratore ?
Io non avevo collegato subito le due cose, ma avete notato che quello corrisponde anche al periodo in cui i bambini iniziano a disperarsi appena vi allontanate, ad avere paura degli sconosciuti, o semplicemente ad essere molto molto più restii ad andare in braccio ad altre persone che non siate voi genitori?
Il sistema di comportamenti derivanti da questa teoria si rinforza infatti proprio verso i 7-9 mesi, quando il bebè inizia a esplorare il suo mondo da solo.. e quando quindi ha più bisogno di sapere che la sua fonte di sicurezza è nei paraggi, pronta a intervenire in caso gli serva. Poi col tempo impara che può allontanarsi, man mano, sempre di più.
Ora, come si fa a sapere se mio figlio ha formato un “buon” attaccamento nei miei confronti? E quali tipi di attaccamento esistono?
Attaccamento ed esperimenti – tipologie di attaccamento
A queste domande ha iniziato a dare risposta Mary Ainsworth, che ha elaborato un esperimento o tecnica per analizzare e categorizzare questo tipo di relazione tra madre e figlio. L’esperimento, chiamato “Strange Situation“, prevede che siano lasciati madre e figlio in una stanza piena di giochi. Dopo un certo tempo entra un estraneo, che prima parla con la madre, poi interagisce col bimbo; dopo ancora qualche minuto, la madre lascia la stanza, lasciando il figlio da solo con l’estraneo. Il genitore rientra, e lo sconosciuto esce. Qualche minuto, e il genitore esce di nuovo, lasciando questa volta il bambino da solo. Il genitore rientra, e l’esperimento finisce.
Dall’analisi dei comportamenti dei bambini in questa situazione, si sono dedotte 4 tipologie di attaccamento :
- Sicuro : il bambino può appoggiarsi alla madre (o altra figura di attaccamento) per ottenere conforto in una situazione di stress; in sua presenza, il bambino mostra interesse per lo sconosciuto, ma in sua assenza, piange e cerca la figura di riferimento, si placa davvero solo al suo ritorno.
- Insicuro ansioso/resistente : il bambino esagera le sue reazioni per riottenere la vicinanza alla figura di attaccamento. Il bambino mostra segni di diffidenza verso lo sconosciuto anche in presenza della madre, ed è inconsolabile anche dopo il suo ritorno
- Insicuro evitante : il bambino limita le sue reazioni per non far allontanare la sua figura di attaccamento. Mostra poco interesse anche per la madre, non mostra reazioni alla sua uscita né al suo ritorno.
- Disorganizzato : il bambino non riesce a stabilire una strategia comportamentale regolare.
Niente giudizi per favore!
Notate come non ci sia una nozione di attaccamento buono o cattivo. Inoltre, sappiate che esistono anche altre teorie in merito; e che i risultati di questo esperimento dipendono dai valori culturali dei genitori (quindi cambiano in base al paese).
Credo sia importante sottolinearlo.. Io mi sorprendo ancora oggi a chiedermi che tipo di attaccamento abbiano sviluppato i miei figli nei miei confronti. A chiedermi perché i miei figli piangono quando vado via, anche se sono più grandi.
Mio figlio a volte piange quando lo lascio in asilo, e non posso evitare di sentirmi in colpa e chiedermi se ho sbagliato tutto.. Ripensare a tutti gli scambi positivi che abbiamo e che abbiamo avuto mi aiuta a riconfortarmi.
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Come si forma questo attaccamento?!
E come mai i neonati sviluppano un tipo di attaccamento con la figura principale piuttosto che un altro? Dipende dalla risposta che ottengono quando manifestano i loro bisogni.
Piangono : perché hanno fame, mal di pancia, freddo, caldo, sonno, voglia di stare in braccio, il pannolino sporco.. La difficoltà iniziale è imparare a capire cosa ci vuol comunicare il bebè quando piange. Il bebè è in una situazione di stress, dipende da noi per tornare in uno stato di confort e sicurezza. (Leggete qui per saperne di più su come funziona e si forma il cervello del bebè, e qui per una riflessione sui bisogni).
Se il genitore impara rapidamente a interpretare correttamente le sue esigenze, e risponde al suo richiamo, il bambino a sua volta impara che in caso di bisogno, il genitore è là ad aiutarlo. Piango = mamma arriva e risolve il mio problema = sto di nuovo bene.
Ma se mamma non capisce, le prova tutte, e il bebè piange ancora di più.. Se la mamma non ha dormito, è stanca, si esaspera. Se questo accade ripetutamente, tante volte, forse il bebè imparerà che se piange, la mamma si arrabbia e si allontana. E quindi cercherà di limitare le sue reazioni.
Oppure, mamma non ha tempo, non ha voglia, o non pensa che sia importante accorrere quando il bebè piange. Magari si alza solo dopo che i decibel del pianto superano la soglia del sopportabile. Se questo accade ogni giorno per mesi, bebè imparerà a piangere più forte, più a lungo, per avere una risposta.
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E noi in tutto questo? Cosa ci può insegnare oggi la teoria dell’attaccamento
Questa teoria mi affascina perché nella sua semplicità è molto profonda; presenta implicazioni che vanno al di là della semplice ricerca di sopravvivenza. Ci tocca nel più profondo, nell’immagine inconscia che abbiamo di noi stessi e del nostro valore. In come riusciamo a gestire le emozioni forti e i momenti difficili.
Mi meraviglia perché spiega in parte come ci formiamo, ci plasmiamo; allo stesso tempo lascia spazio a un’evoluzione, ai cambiamenti. Mi pare un’espressione perfetta della convivenza tra natura, o biologia, e ambiente.
In un’ottica di lungo periodo, è importante che la nostra società dia tutto il sostegno possibile ai neo-genitori. Perché imparino come entrare in sintonia coi loro bebè; perché ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno.
Sottintende anche l’importanza di un’appropriata figura di riferimento in tutti i luoghi dedicati all’infanzia. In asili e scuole materne, i bambini dovrebbero poter trovare sostegno e sicurezza in una persona che si dedica a loro in assenza della loro mamma.
Porta speranza perché l’attaccamento varia nel tempo, e varia in base alle persone verso cui i bambini formeranno un legame. Infine, anche perché, se non entriamo negli estremi o nelle patologie, non c’è una nozione di “giusto” o “sbagliato”.
IL GENITORE PERFETTO NON C’E! Smettiamo di sentirci in colpa e osserviamo
Neo – genitori, questo messaggio è per voi. Se devo trarre un insegnamento da questa teoria, se dovete ritenere una chiave di lettura da questa pagina, è questa :
Mettete tutte le vostre energie ad osservare e conoscere il vostro bebè. Siate là per lui, senza ansie, senza pensieri su cosa dovreste fare. Respirate. Con tanta pazienza, ascoltando il vostro istinto, imparerete a farvi guidare dai segnali che il vostro bimbo manda, a interpretarli.
Siamo il genitore perfetto per i nostri figli, con tutte le nostre imperfezioni.
Per concludere, mi sembra una teoria fondamentale da conoscere. Per ripensare alle nostre relazioni, a come reagiamo ai nostri figli, a come la nostra storia influenza il nostro presente.
Cosa ne pensi? Conoscevi già questa teoria? Ne hai già fatto esperienza coi tuoi figli?
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