4 segreti che devi conoscere per far smettere i comportamenti di sfida dei bambini

Oggi vorrei provare qualcosa di diverso dal solito. Anziché scrivere un più o meno lungo articolo, ti lascio un messaggio vocale (per gli amanti del vecchio stile “cartaceo”, c’è anche la trascrizione testo non temete!)Domanda esistenziale: cosa faccio quando il mio bambino rifiuta di ascoltare? Quando fare le cose più semplici e banali della vita quotidiana richiede ore e battaglie? Insomma, come far smettere i comportamenti di sfida dei bambini? Ne parliamo oggi!

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Trascrizione testo di “Come far smettere i comportamenti di sfida dei nostri bambini”

PS: vai in fondo all’articolo se preferisci la versione video.
La settimana scorsa abbiamo mancato per un pelo la vicina appena uscita a stendere il bucato.

Abbiamo l’enorme e immensa fortuna di avere un giardino, quindi se il tempo permette, nel pomeriggio andiamo a giocare o semplicemente passare un po’ di tempo all’aria aperta. Mio figlio di 4 anni e mezzo è un appassionato di bastoni. Immagino sia una cosa comune; sta di fatto che se il suo sguardo si posa su un qualsiasi pezzo di legno, plastica, o metallo, posso esser certa che lo brandirà pericolosamente in ogni direzione, e finirà col lanciarlo in aria.

Le provi un po’ tutte in queste situazioni, no? Ho cercato di far sparire i bastoni ma mi è stato presto chiaro che fosse una strategia volta al fallimento: troppe cose possono assumere la funzione di un bastone anche in assenza di un bastone vero e proprio. e poi, l’obiettivo è insegnargli il perché dietro una regola, giusto?

Stavamo giocando con racchette e palline quando ha lanciato la racchetta.

“Non si lancia la racchetta, si tiene in mano per giocare. È pericoloso, se colpisci qualcuno fai male!”

Pochi minuti dopo, ed ecco un altro lancio.

L’ho guardato con la testa reclinata di lato e verso il basso, la posa dello sguardo riprovatore.

“Cos’hai fatto che non andava secondo te? ”

Mi ha sorriso “Niente!” e ha ripreso a giocare.

“Hai capito che non si lancia la racchetta?”

“No!”

Ho stretto i pugni e chiuso un istante gli occhi, consapevole della voglia improvvisa di impossessarmi di quella racchetta e mostrargli chi è che comanda, e anche dei 4 occhi puntati su di me in attesa di una reazione.

In quei momenti, è difficilissimo. Com’è possibile? Diamo il meglio ai nostri figli. Riversiamo su di loro i nostri sogni nel cassetto, i loro errori diventano i nostri insuccessi. Rispettare la regola ci sembra così facile, così ovvio. Perché non ascoltano?

A noi sembra proprio che il bambino ci stia sfidando.

“Ieri pomeriggio ha dormito 7 ore di fila! Perché adesso che è notte si deve svegliare ogni due ore per il latte? Perché?! Lo fa apposta!”

“La maestra all’asilo mi ha raccontato che gli aveva appena detto di non mordere i compagni! E lui l’ha guardata, e due minuti dopo ha dato un altro morso!”

“Gli ho detto cento volte di non picchiare il fratello quando gli porta via i giochi, e lui continua!”

Quando ho iniziato ad interrogarmi su tutta questa faccenda  della relazione genitori figli e dell’educazione positiva, è stato quando mia figlia, 18 mesi, si rifiutava di fare il riposino pomeridiano. In asilo naturalmente non aveva nessuna difficoltà ad accettare l’ora di riposo dopo pranzo. A casa, la mettevo nel lettino, leggevamo la storia, chiudevo le persiane, bacino e tutto il trallallà, e dopo 3 minuti usciva fuori (perché aveva imparato a scalare il lettino a sbarre) e veniva a cercarmi sorridendo. Mi.Mandava.Su.Tutte.Le.Furie. E non riuscivo a capire perché.

Perché mi facesse arrabbiare, e perché lei non volesse piegarsi a una routine semplice semplice. Infinite sfide percepite dopo, ho identificato 4 punti che ti saranno utili nell’affrontare questo comportamento coi tuoi frugoletti.

Punto 1. Ricordati l’obiettivo

Mentre ero là, coi pugni chiusi, a ripensare a mio figlio che apposta mi disobbedisce lanciando per aria i suoi bastoni, avevo diverse possibilità. È difficile, no? Perché il primo istinto vorrebbe farci agire immediatamente. Spesso ci sentiamo come se avessimo subito un torto: non riesco a farmi obbedire, mio figlio o la situazione sono fuori controllo, non so come fare.. in generale, una sensazione di frustrazione piuttosto spiacevole.

Vorremmo ristabilire lo status quo, riportare l’ordine, risentirci di nuovo padroni di quello che sta succedendo. Dando ascolto a questi nostri primi istinti però.. siamo proprio sicuri di andare nella direzione giusta? Mi sono proprio chiesta:

“ok Clio, cosa è importante adesso? Insegnare a mio figlio che è pericoloso lanciare i bastoni. Benissimo, e qual è il modo migliore per riuscirci? Se gli dai una punizione, o usi la forza, gli avrai insegnato davvero qualcosa, o hai solo messo a tacere il tuo ego ferito nell’orgoglio perché tuo figlio ti ha disobbedito?”

Trovo utile pormi la domanda “che cosa voglio ottenere, cosa è importante?” proprio perché mi permette di fare chiarezza sui miei veri intenti, e anche di fare una pausa prima di agire d’impulso (per poi pentirmi.. oups)

Punto 2. Chiediti di cosa hanno bisogno i bambini quando hanno comportamenti di sfida

Un tempo la questione dell’obbedienza era fondamentale. Un bambino per bene deve obbedire all’autorità. (Nota curiosa: lo sapevi che fin dall’antichità gli adulti e anziani si lamentavano della disobbedienza dei giovani? Insomma, il “dove andremo a finire” è una roba che si tramanda da generazioni ancora in epoca precristiana! ).

Negli ultimi anni, però, sono stati pubblicati numerosi studi sullo sviluppo del cervello nei bambini e sull’effetto delle loro relazioni nella crescita delle sinapsi. Senza farne una lezione di neuroscienza, ci sono due conseguenze importanti ai miei occhi: la prima, è che ora sappiamo di cosa un bambino sia capace, da un punto di vista del suo sviluppo cerebrale, in base all’età. A 6 mesi, ad esempio, un bambino non può fare un capriccio, non ha le capacità cognitive per “prendere il vizio”. Piange perché ha un bisogno fisiologico e non ha le capacità cerebrali per gestire la tensione e calmarsi da solo. Se il genitore non interviene, entra in circolo il cortisolo, e troppo cortisolo distrugge le cellule cerebrali, in particolare nella corteccia prefrontale.

A 2 anni, il cervello dei bimbi è ancora immaturo e predomina il cervello arcaico. Non ci sfida quando morde l’amichetto, è solo invaso da un’emozione che non sa esprimere diversamente. Le umiliazioni fisiche o verbali che noi a volte infliggiamo perché ci sembra la cosa giusta non gli insegnano , ahimè, a gestire l’emozione, ma sono causa, più avanti, di disturbi del comportamento. Laddove, invece, empatia e comprensione fanno aumentare le sinapsi, fanno crescere le connessioni, il senso di sicurezza interiore.

Di che cosa aveva bisogno mio figlio quando ha lanciato la racchetta nonostante i suoi divieti? Forse, di esercitare il suo controllo sulla situazione. E anche, sarà forse banale dirlo, si stava divertendo! Arrivo io, mani sui fianchi e sguardo truce, ad abbaiargli “non si lanciano i bastoni” mentre lui si sta divertendo come un matto e non vede, non misura ancora il potenziale pericolo.. mi ricorda quando cerco di usare a modo mio (sbagliato) gli attrezzi di bricolage di mio marito. Se lui arrivasse urlandomi “mettili subito giù! non sai come si usano, è pericoloso!” mi verrebbe solo voglia di continuare a usarli. Apposta. Per fargli vedere che si sbaglia.

Ad ogni modo, il chiedermi ad alta voce “Di cosa hai bisogno” mi aiuta a vedere la situazione con occhi diversi dai miei, a sentire quell’empatia (che di bisogni ne abbiamo tutti) e a smorzare da subito alcune delle mie reazioni istintive. Un conto è pensare “lo fa apposta per provocarmi” e un conto è cercare di capire, a mo’ di detective, quale sia la causa del comportamento, per intervenire su quella.

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Punto 3. Cerca le conseguenze e le soluzioni 

In uno dei primi impieghi che ho svolto dopo il mio trasferimento in Francia avevo un responsabile che non si fidava. Dovevo aspettare che mettesse lui la password sul mio pc per poter lavorare, ogni volta che andavo e venivo. Ascoltava cosa dicevo al telefono per poi sgridarmi e correggermi. Non avevo nessuna visibilità sul lavoro della giornata, dovevo aspettare che mi chiamasse e mi dicesse cosa fare. Quando ho cambiato lavoro, sono rimasta sbalordita nell’apprendere che i miei nuovi capi mi lasciavano quasi carta bianca. Il che implicava, naturalmente, che io mi assumessi la piena responsabilità dei miei errori, quando c’erano; mentre prima era facile sentirmi ben poco implicata.
Posso obbligare i miei bambini a mettersi la giacca anche quando loro assicurano avere caldo da morire, ma a parte lo spreco di tempo ed energie, probabilmente l’unico effetto che otterrò sarà che se la dimenticheranno alla prima occasione. Una volta ho lasciato che mio figlio uscisse senza giacca.. e penso se lo ricordi ancora!
Nel chiedermi come insegnare ai bambini un comportamento, anziché partire alla ricerca del colpevole da punire, mi ricordo di questi episodi. Cerco di tenere a mente quanto insegnino le conseguenze naturali e quanto sia più responsabilizzante e motivante il sentirsi inclusi nella ricerca di una soluzione.

Punto 4. Correggi i comportamenti di sfida dei bambini con empatia

Torno alle ricerche. Sono uno strumento prezioso di oggi. Quello che ci stanno dicendo è che quando siamo in preda alle emozioni (e i bambini lo sono spesso) la parte prefrontale del nostro cervello funziona meno bene. Per dirla in poche parole: ci viene difficile ragionare e imparare in preda alla paura o alla rabbia.

E questo va un po’ contro la tradizione della ramanzina, perché la ramanzina è lunga e interviene subito dopo il misfatto, quando sia noi, sia il presunto colpevole siamo non proprio calmi come una mucca al pascolo.  È un po’ come quando vogliamo raccontare una cosa incredibile che ci è successa, siamo tutti trafelati ed emozionati, e l’altra persona, anziché ascoltarci, ci dice che è colpa nostra perché abbiamo  sbagliato. Magari ha pure ragione, ma di sicuro non abbiamo voglia di stare a sentire perché.

Ecco. Vale lo stesso per i bambini, solo che ce ne dimentichiamo..

Ero al computer, stavo cercando disperatamente di finire in fretta il lavoro perché sapevo che il tempo di autonomia dei bambini stava per scadere. Sentivo le lancette, tipo bomba a orologeria. E in quel mentre, è entrato mio figlio, col broncio da “mi annoio mamma vieni a giocare SUBITO”. Si è seduto in braccio e me, e dopo aver cercato (invano) di farmi alzare almeno gli occhi se non il sedere, ha preso una calamita dalla mia lavagna e l’ha scagliata contro lo schermo.

“Ti sembra di aver fatto una cosa buona? Eh?” mentre mi immaginavo scene catastrofiche di quello che sarebbe potuto succedere sentivo il sangue salirmi alla testa. Per fortuna, ho anche visto i suoi occhi tristi, di bambino che vuole la mamma dopo tutto il giorno che prova a inventarsi giochi e attività chiusi in casa.

“Ti stai annoiando e vuoi che venga a giocare con te?”

E là, uno spiraglio si è aperto. Impercettibile, ma sicuro. Ora che l’avevo capito, potevamo trovare una conseguenza, una lezione, una soluzione. Perché noia non giustifica rompere il computer della mamma, ecco. Ma spiega un bisogno normale cui possiamo provvedere, che possiamo capire. E il bambino non ha più bisogno di sfidare nessuno, a quel punto.

La versione video: I comportamenti di sfida dei bambini

Fonti, riferimenti, approfondimenti

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