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Fare I Compiti: I 6 Classici Errori… di Noi Genitori!

“Amore, è ora di fare i compiti!” Silenzio. Si sente il fruscio del vento, i granelli di polvere scivolare lungo i mobili, la coda del gatto rimbalzare sul pavimento. Fonte di lunghe sbuffate quando eravamo a scuola, fare i compiti è ora causa di infiniti litigi con i nostri figli.. Vediamo gli errori che spesso facciamo senza volerlo e come provare a cambiare punto di vista! Magari non riusciremo a renderlo un vero e proprio momento piacevole, ma almeno a evitare di litigarci su ogni giorno.

Le principali fonti di tensioni

Lo ammetto. Ero una di quelle alunne che facevano sempre tutti i compiti, costi quel che costi. E nonostante, col senno di poi, mi sia rammaricata un pochino di aver speso così tanto tempo china sui libri in un’ansia da perfezionismo, probabilmente mi aspettavo anche, inconsciamente, che mia figlia avrebbe fatto come me.

Il.Grande.Errore.

Farsi delle aspettative su come saranno i nostri figli. Proiettare inevitabilmente i nostri sogni nel cassetto e le nostre ambizioni.

Già era problematico alle 8 di sera, dopo una giornata tra scuola e lavoro, quando ci ritrovavamo a fare lettura in inglese e calcoli con i neuroni spenti. Ma adesso, adesso che la scuola c’è ma è virtuale, i compiti e le attività scolastiche ci toccano ancora più da vicino.

“Io non voglio fare i compiti! Voglio guardare un film! Voglio fare i videogiochi! Non è giusto che mio fratello non li debba fare e io sì!”
La lista delle possibili lamentele è lunga.

Per un po’, ho creduto che questi problemi fossero passeggeri. Che riguardassero solo la prima elementare, perché devono ancora imparare e hanno bisogno di aiuto. Ma poi vedrai, sarà autonoma!

(Giusto in tempo per quando sarà in prima suo fratello..)

Poi però, chiedendo leggendo ed esplorando, viene fuori che siamo in tanti a vedere i compiti come un momento di conflitti e tragedie e pesantezza familiare. E anche oltre la prima elementare.

Dei partecipanti al mini corso sull’educazione positiva che hanno risposto al questionario introduttivo, il 46% di chi ha figli dai 7 anni in su ha indicato nei compiti il problema più grande coi figli.

Urgeva approfondire!

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Come dosare il nostro aiuto?

Ero seduta al suo fianco, gli occhi tra il computer, il cellulare e il suo quaderno.

(ok, scarso esempio di produttività).

Quando le ho viste. Le sue lacrime. “Ogni volta che scrivo una frase c’è sempre qualche cosa da correggere! Mi dici sempre che c’è qualcosa che non va!”

Ero scossa nel sentire mia figlia impotente; tanto più visto che erano le mie parole a veicolare questa sensazione.

Sai quando un problema sembra insormontabile e continuiamo a sbatterci contro, riprovando invano la stessa soluzione? Improvvisamente, ci si apre un nuovo punto di vista.

E la soluzione diventa evidente, che ti rimproveri per non averci pensato prima.

Come quando provo invano ad accendere il computer, sto già piangendo perché non funziona e avrò perso tutti i dati! Telefono a mio marito ma ovviamente è in riunione, gli sto già mandando mentalmente rimproveri quando l’occhio cade sulla spina. Che giace, inerme e sperduta, sul pavimento.

La infilo coraggiosamente nell’apposita presa, schiaccio il pulsante di accensione, e via, ecco la lucina come un faro nella notte.

Quando il marito richiama, insospettito dalle 254 chiamate senza risposta, devo anche inventarmi una scusa.

Coi bambini ho scoperto che spesso funziona allo stesso modo. Ci incaponiamo perché nella nostra mente c’è un unico modo possibile, cui naturalmente i bambini si oppongono come la chiave nella serratura sbagliata.

Più insistiamo, più la chiave fa resistenza. Solo quando accettiamo che ci sono altre strade, la porta si apre.

Ok, basta con le metafore. Ho individuato 6 errori fatali, 6 trappole che neanche Indiana Jones nel Tempio Maledetto, in cui noi genitori incappiamo quando c’è in ballo il “Fare i Compiti”.

Non sono qui per puntare il dito o sollevare sensi di colpa, ma per provare a.. cambiare la chiave!

Fare i compiti, errore n°1. Controllare tutto

Che dire, quante volte le nostre ansie e paure si manifestano nel disperato bisogno di controllare tutto, ma proprio tutto, quello che fanno i nostri bambini?

Controlliamo ogni riga e ogni parola. Guardiamo tutti i quaderni e i diari, perché “non ci fidiamo” e “non si sa mai”.

Perché è un problema, mi dirai? Non è anzi opportuno controllare che il bambino abbia fatto tutti i compiti prima di mandarlo a scuola?

Non sono un’insegnante, quindi non pongo la questione da quel punto di vista. La maestra di mia figlia ci ha chiesto di controllare insieme a lei i compiti. E ci sono, naturalmente, delle differenze da bambino a bambino e in base all’età.

Mi piace però ripensare al ruolo del genitore come a una bilancia che deve equilibrare sicurezza e autonomia: e più i bambini sono piccoli, e più bisogna insistere sulla sicurezza, e poi man mano che crescono, bilanciarla per incentivare la loro autonomia. Non intervenire se non ce n’è bisogno.

Genitori come equilibristi appesi a un filo.

Il punto è che il controllo permanente manda un messaggio pericoloso: “Non mi fido, quindi controllo”.

Cosa succede se per caso non tutti i compiti sono stati fatti? Se ci sono degli errori?

Forse, fa parte dell’apprendimento e dell’acquisizione di autodisciplina anche quello. Lasciare che sia il bambino ad affrontare le conseguenze.

Ogni situazione è a sé ma personalmente trovo utile pormi ogni tanto la domanda: lascio abbastanza margine di responsabilità a mia figlia? Perché capisca che il lavoro e l’impegno che ci mette sono per se stessa e non per fare contenta me o la maestra o chiunque altro?

Fare i compiti, errore n°2. Fare al loro posto

Mia figlia mi ha dato una lezione importante oggi. Aveva finito l’esercizio di inglese e volevo darle qualche suggerimento in più.

Stava già mettendo via penne e matite, tutta contenta di aver finito, quando le ho chiesto: “Posso darti ancora un consiglio?”

“Mamma grazie, preferisco di no. Sai, poi la maestra a scuola ce lo correggerà e se lei mi dice una cosa diversa da quella che mi dici tu, poi mi confondo.”

Come zittire una madre.

Eppure.. ha ragione. L’obiettivo di compiti e lezioni in fondo è di imparare, non solo dei concetti ma anche delle competenze sociali e personali.

Non dimostrare di fare tutto giusto o prendere un certo voto.

Una mattina stavo aiutando mio figlio a vestirsi. Parlavamo, guardavo ogni tanto l’orologio per assicurarmi che non fossimo in ritardo.

Improvvisamente mi sono resa conto.

Che gli stavo mettendo i calzini.

A 4 anni.

Che era da più di anno che sapeva farlo da solo, che fin dall’asilo lo incoraggiavano a fare da sé.

Ho alzato lo sguardo verso di lui. “Amore. Perché sono io che ti metto i calzini?”

È scoppiato a ridere con uno sguardo furbetto. “Perché mi piace che sei tu a fare le cose per me!”

Facciamo prima se lo vesto io. Se faccio io gli esercizi di matematica.

Ma se faccio sempre io, quand’è che lascio lo spazio perché siano loro a imparare?

Fare i compiti, errore n°3. Premiare solo il risultato

“Che voto hai preso?” “Che media hai?” “Hai fatto degli errori?”

Sono tutte domande che facciamo mossi da un desiderio profondamente buono.. ma potenzialmente deleterio. Si impara di più, e meglio, quando siamo concentrati sul processo e non in preda all’ansia da risultato.

Nel linguaggio che usiamo a volte ci dimentichiamo che per imparare, è necessario vedere premiati i nostri sforzi e il nostro impegno, sentirci incentivati a provare ancora e ancora.

Mi sono resa conto che a volte basta poco: modificare le nostre frasi e il nostro sguardo.

“Come ti sei concentrato!” “Ho visto come ti sei impegnato” fino a “Puoi esser fiero di te” anziché il “sono fiero di te”.

Sottigliezze? Forse. Ma possono fare la differenza.

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Fare i compiti, errore n°4. Rendere lo studio pesante

“Basta ridere! Stai seduta ferma. Non è ora di giocare adesso.”

Vedo spegnersi la risata di mia figlia mentre, sbuffando, cerca di risistemarsi sulla sedia.

Guarda sconsolata alla lista di esercizi indicati sul foglio.

La difficoltà nostra, mi rendo conto solo ora, è duplice: motivare, incoraggiare a provare e riprovare sempre, al di là della difficoltà iniziale, per una visione lontana.

“Pensa, amore, se ti piacciono tanto i film magari da grande potresti farne uno! Ma per farlo devi saper scrivere bene le storie. Si comincia con gli esercizi della maestra!”

Hai voglia a motivarti così giorno dopo giorno.

Per calibrare la nostra presenza (non troppa per non soffocare, ma abbastanza da dar sicurezza), dobbiamo aver ben digerito la nostra, di esperienza scolastica.

Una visione dello studio che “ai nostri tempi” era fondata sulla fatica, sul sacrificio, che se non ti annoi e non ti sforzi vuol dire che non stai facendo abbastanza, non te li meriti i tuoi risultati insomma.

Mentre oggi le ricerche confermano che è nell’esperienza emotivamente divertente, piacevole e coinvolgente che avviene la magia, e si impara meglio.

Ora che sappiamo che esistono modi di apprendimento diversi, che alcuni bambini hanno bisogno di muoversi, altri di manipolare, altri di vedere eccetera.

Mentre sono seduta davanti al mio pc, mia figlia coi compiti che mi guarda implorante, sospiro.

“Ci mancava pure cercare di rendere la cosa divertente” dice la vocina dentro di me.

Ma è un’eccellente lezione anche per noi. Allenarci a rimettere in discussione quello che sentiamo di dover fare solo perché se è pesante, vale di più; mentre se il lavoro ci piace allora c’è “qualcosa che non va”…

Fare i compiti, errore n°5. Ignorare le pause

Nella nostra ottica di prima il dovere e poi il piacere, è facile dimenticare che i bambini hanno capacità di concentrazione e ritmi diversi dai nostri. Che hanno bisogno di lasciar vagare l’immaginazione, di muoversi saltare e arrampicarsi per imparare meglio, e a volte anche solo di giocare da soli.

E non sarebbe una buona cosa anche per noi, quella di imparare a rispettare i nostri ritmi e ad organizzare il lavoro di conseguenza, anziché essere sempre alla ricerca della repressione dei bisogni nell’illusoria speranza della massima efficienza?

Quante volte resistiamo l’istinto di alzarci, far due passi e cambiare aria prima di rimetterci al lavoro, con l’unico risultato di fissare lo schermo, guardare la mail e i commenti su facebook senza arrivare al dunque.

Anche per i bambini è importante prevedere delle pause regolari, lasciarli muovere, respirare, usare la musica e l’arte per imparare.. e rendere il momento non dico divertente, ma quanto meno piacevole.

Fare i compiti, errore n°6. Arrivare al litigio e all’imposizione

Quando ho sentito questo esempio per la prima volta sono rimasta incantata da quanto calzante. Torniamo alla metafora della chiave.

La prendiamo, la infiliamo di fretta nella serratura (perché il tempo è poco e dobbiamo fare presto).

Ma la chiave non gira. Allora insistiamo, con sempre maggiore forza. Inveiamo contro la chiave, e contro la serratura. Spingiamo un po’ più forte.

Poi, sentendoci sconfitti, proviamo a muoverla dolcemente, piano piano. cerchiamo di sentire i punti in cui scorre meglio, alla ricerca di un cedimento lieve.

E là si opera il miracolo: la chiave gira e la porta si apre.

Quante volte i compiti sono pretesto per grandi litigi e opposizioni? Trasformando così un momento dedicato ad imparare in un momento pieno di tensione?

Più usiamo la forza e più cerchiamo di opporci, e più otteniamo resistenza o chiusura in se stessi.

La prossima volta che sentirò la mia pazienza scivolare via al vento di una sbuffata, davanti a una sottrazione o a una poesia da imparare a memoria, penserò alla chiave.. e proverò a girare dolcemente.

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Fonti, riferimenti, approfondimenti

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