Stili educativi diversi: come fare quando la reazione dell’altro genitore non ci piace

Uno cede volentieri alle coccole, l’altro si irrigidisce e vuole che l’autorità del genitore venga rispettata ad ogni costo; l’uno ritiene che punizioni, minacce e metodi coercitivi siano necessari, l’altro dannosi.. E si finisce con l’allontanarsi un po’ l’uno dall’altro, amareggiati. Genitori con stili educativi diversi: come fare a restare uniti e a evitare le recriminazioni? Soprattutto davanti ai bambini, e quando le reazioni dell’altro ci fanno profondamente arrabbiare? Uno sguardo a quello che succede nella nostra testa potrebbe venirci in aiuto!

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Foto di Christin Hume su Unsplash

Quando i genitori sono in disaccordo…

“Non voglio!”

Ho sentito subito tutto il corpo irrigidirsi, lo stomaco chiudersi, la forchetta piena bloccata a mezz’aria.

Il mio radar interno mi aveva già comunicato tutti i dettagli, ancora prima che li vedessi. Mio marito aveva l’ira negli occhi, il busto piegato in avanti, e il collo rigidissimo come se dovesse esplodere.

Sono intervenuta, perché è più forte di me. Colpi di piede sotto il tavolo, sguardo supplichevole, pur sapendo che probabilmente non fanno che peggiorare le cose; mettendomi in mezzo per far ragionare il bambino in questione; e finire con la peggiore delle reazioni del genitore in disaccordo: esprimendolo apertamente davanti ai bambini.

Mea Culpa.

Ma come fare quando gli stili educativi non solo sono diversi, ma proprio cozzano profondamente con le nostre convinzioni, con i nostri valori?

Stili educativi diversi alla ricerca di un compromesso

Poiché il dilemma mi perseguita da parecchio, croce e delizia, ho provato a ri-tracciare la situazione-tipo che fa emergere in modo conflittuale gli stili educativi diversi:

  1. entrambi i genitori sono convinti, razionalmente parlando, dell’importanza di mettere un quadro, di porre delle regole, ma divergono sul come;

  2. un genitore è convinto che le “maniere forti”, siano punizioni, minacce, qualche sberla nei casi più gravi, servano a insegnare al bambino il rispetto dell’autorità, a far capire quando i bambini hanno superato un limite, a dargli dei punti di riferimento sicuri;

  3. l’altro genitore, invece, è convinto che le maniere forti siano dannose nel lungo periodo, e preferisce il dialogo;

  4. i due si lanciano spesso in discussioni su chi abbia torto e chi ragione, su quale sistema sia il più efficace, e ognuno tende ad accentuare il suo comportamento per compensare quello dell’altro;

  5. i bambini, dai e dai, si accorgono che i genitori hanno stili educativi diversi e inconsciamente si rendono conto del potere che hanno sulla relazione tra mamma e papà;

  6. la bomba a orologeria è pronta a esplodere, in un circolo vizioso coi fiocchi.

Ti sembra una descrizione abbastanza rappresentativa?

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Ah, le infinite discussioni su chi ha ragione… Foto di Charles su Unsplash

Stili educativi diversi, istruzioni per l’uso?

Fatta questa analisi sommaria, mi rimane la domanda:

ma se noi siamo convinti che botte, minacce, urla e punizioni non solo non siano il modo più efficace per accompagnare serenamente i bambini nella crescita, ma siano anzi potenzialmente dannosi per la loro autostima e futuro equilibrio, come facciamo quando la sola vista del collo irrigidito dell’altro genitore ci fa saltar su come una molla?

Come fai quando hai speso ore in discussioni, e poi la volta dopo si ricomincia da capo, in un vano (e pericoloso) tentativo di dimostrare all’altro chi ha ragione?

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Stili educativi diversi, tentativo uno

Alla ricerca di una risposta alle mie domande, mi sono imbattuta in questa filosofia di pensiero:

è inutile e dannoso cercare di convincere, o obbligare, un’altra persona a pensarla come noi, a comportarsi come vorremmo. La sua reazione sarà sempre quella di sentirsi attaccato e opporvisi.

Lasciamo invece all’altro la libertà delle proprie convinzioni, nel rispetto reciproco, e vediamo gli stili educativi diversi come un’opportunità per i nostri bambini.

I bambini metteranno naturalmente in atto delle strategie per adattarsi ai diversi stili educativi dei genitori, e come ogni sfida della vita, ne impareranno qualcosa.

Noi adulti, invece, sforziamoci di ragionare in termini di ciò che ci unisce – alla fine, tutti e due riteniamo importanti le regole per la crescita dei nostri bambini; vogliamo entrambi il loro bene; ma, piccolo dettaglio, non siamo d’accordo nel come arrivare a destinazione.

Stili educativi diversi, tentativo due

L’approccio filosofico di cui sopra mi troverebbe anche d’accordo.

Ma siamo pratici: quando intorno a me si alzano toni e si abbassano sguardi, mi resta difficile dirmi che in fondo “ciò che non ti uccide ti fortifica” e concentrarmi sulla destinazione comune cui forse arriveremo tra vent’anni facendo strade diverse.

Al di là del trovare un buon terapeuta e un paio di amiche con cui sfogarmi, dovevo continuare a cercare.

Ed ecco che, grazie alla serendipità di internet, quasi un genio della lampada del 21° secolo, mi trovo tra le pagine aperte un intervento della psicoterapeuta francese Isabelle Filliozat.(Cito spesso i suoi libri perché ricchi di spunti pratici per capire meglio cosa ci passa per la testa e cosa farne.)

(la traduzione è mia)

“Ci raccontiamo spesso che non abbiamo le stesse idee in termini di educazione. La verità, è che il coniuge non sa fare altrimenti. Inutile lanciarsi in discussioni. Quello di cui l’altro ha bisogno è sostegno, aiuto, e soprattutto: nessun giudizio, nessuna critica“.

Adulti e bambini, stesso funzionamento

Questa era (quasi) musica per le mie orecchie. Mi sorprende sempre constatare, dai e dai, scava e cerca, quanto funzioniamo in modo simile noi e i bambini.

Come mai i bambini reagiscono in modo non appropriato a un nostro insegnamento?

O perché hanno un bisogno insoddisfatto, o perché manca loro una competenza.

E per accompagnarli e placare la crisi,

  1. accogliamo con empatia l’emozione, descriviamo quello che succede;

  2. andiamo alla ricerca della causa del comportamento inopportuno (quindi, bisogno o competenza da acquisire)

  3. una volta tornata la calma, cerchiamo una soluzione.

Col coniuge, facciamo lo stesso!

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Cosa succede nel cervello

I ricercatori hanno preso alcuni genitori, e grazie alle tecnologie di imaging cerebrale, hanno osservato le loro reazioni mentre venivano mostrate loro delle immagini dei loro bambini in lacrime.

Nella maggior parte dei casi, si vede chiaramente un’attivazione della corteccia prefrontale, una reazione di dolore, e dei ricettori di ossitocina.

In pratica, siamo biologicamente presettati per prenderci cura dei bisogni dei nostri bambini.

Ma. In alcuni casi, invece, questa attivazione non c’è; in alcuni, i ricettori di ossitocina sono troppo pochi o assenti, e vengono invece attivati i circuiti dello stress.

L’amigdala recepisce il bambino che piange come una minaccia.

Perché succede questo?

Se il genitore in questione, quando era piccolo, non ha ricevuto l’affetto di cui sentiva il bisogno, è stato rifiutato, mandato in camera sua quando esprimeva un’emozione; insomma, se i suoi genitori hanno usato con lui forme di violenza fisiche o verbali, la sua amigdala è diventata iperattiva agli stimoli e la sua corteccia prefrontale ha sviluppato meno le sue capacità a regolare le emozioni e a inibire le pulsioni alla violenza.

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Un’invasione di ossitocina ci salverà! Foto di Alina Grubnyak su Unsplash

È un po’ come se nei loro circuiti cerebrali, si fosse fatta l’associazione tra un certo tipo di situazione (ad esempio, il pianto) e l’emozione forte scaturita in seguito alla reazione subita (il rifiuto da parte del genitore che magari pensa a un capriccio o a un’esagerazione).

I circuiti dell’ossitocina non hanno “imparato” ad attivarsi mentre si attivano quelli dello stress.

Pianto = rifiuto = emozione negativa fortissima = situazione minacciosa da evitare a ogni costo.

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Stili educativi diversi, come possiamo intervenire noi!

Io vedo due buonissime notizie:

la prima, è che in quest’ottica, la reazione di mio marito mi suscita molto più empatia di prima; (speriamo gli faccia piacere).

La seconda, è che i circuiti dell’ossitocina si possono “riparare” e riattivare in qualsiasi momento.

Come fare allora per intervenire?

La Filliozat suggerisce lo stesso procedimento che con i bambini:
sguardo tenero, abbraccio e frase empatica del tipo:

“Lo so, è dura quando Pierino urla NO! in questo modo a ogni cosa”;

“Lo so, è dura quando rifiuta di darci una mano;” eccetera.

(Naturalmente, io sto usando un tono ironico, ma l’empatia dev’essere genuina per poter funzionare. Altrimenti, torniamo alla bomba a orologeria di prima).

Manteniamo l’abbraccio qualche secondo (minimo 7) per permettere all’ossitocina di fare il suo effetto.

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All’inizio, il genitore in questione farà resistenza e ci manderà via.

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Foto di Eugene Zhyvchik su Unsplash

È piuttosto normale, se in passato i suoi tentativi di coccole in casi simili sono stati rifiutati.

Insistiamo, qualche secondo di più ogni volta, come se fosse una ginnastica cerebrale.

È un allenamento per rendere il cervello capace di sviluppare nuovamente i ricettori di ossitocina di cui ha bisogno per poter accogliere il bambino con le sue emozioni, e ritrovarsi un suo stile educativo che gli è proprio e in cui tutta la famiglia si senta bene.

In questo modo, ossitocina o meno, eviteremo di fare muro contro muro; e manderemo ai bambini un segnale molto forte: che possiamo amarci e volerci bene, nel rispetto reciproco, anche se abbiamo idee e convinzioni diverse.

Fonti, riferimenti, approfondimenti

Ecco un elenco di siti, libri e articoli consigliati o da cui mi sono ispirata!

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